lunedì, Dicembre 23

La richiesta di condanna per De Pasquale e Spadaro e il processo a Davigo segnano la fine di un’epoca

Per quelli che hanno fatto un cerchio sulla prossima data di questa saga (8 ottobre) riportiamo uno stralcio del pezzo di Tiziana Maiolo su Il Dubbio e aggiungiamo alcuni link che aiutano a rinfrescare i bei ricordi di questa vicenda imbarazzante.

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Caso Eni, la sentenza: «I pm nascosero il video che scagionava gli imputati»

Caso verbali, i giudici: Davigo violò le regole e gettò «una sinistra luce» su Milano

Con la richiesta di otto mesi di carcere senza condizionale per i pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, per rifiuto di atti di ufficio da parte della procura di Brescia, si sta ormai chiudendo il cerchio, in modo non positivo, sulla storia di quel rito ambrosiano che fu sul trono degli anni Novanta e è ormai sempre più nella polvere.

È la maledizione del “caso Eni”, che doveva essere la gemma più fulgida di quella storia, che è durata quasi trent’anni, per la procura più famosa d’Italia che diete i natali al poliziotto in toga più amato e venerato, e che invece ha portato solo sciagure. Le ha portate a Piercamillo Davigo, il giocoliere del “risolvo problemi”, le cui astuzie furono scambiate per sottili capacità giuridiche, oggi condannato già in appello a un anno e tre mesi di carcere per rivelazione di atti d’ufficio per la divulgazione di verbali legati proprio alla saga dell’Eni.

Con la sua vicenda ormai vicina a una chiusura non proprio commendevole, aggiunta a qualche figuraccia quando non se ne voleva andare dal Csm mentre era in età pensionabile e perse tutti i ricorsi di tipo amministrativo, sparisce la visione moralistica della giustizia, la lotta del Bene contro il Male, la purificazione della società dei disonesti da parte del pool di Milano dagli anni Novanta in avanti. Il povero Davigo si è ritrovato a dover interpretare le parti peggiori attribuite agli imputati di allora, l’insofferenza per il circo mediatico-giudiziario, la presunzione di innocenza di coloro che l’avevano fatta franca, gli inutili ricorsi dopo il primo grado di giudizio e la, sempre sacrosanta, condanna.

[…]

Non va dimenticato il tentativo maldestro di costringere il presidente del tribunale Marco Tremolada a autosospendersi dal processo. La famosa polpetta avvelenata consisteva nel tentativo dei due pm di far ammettere una testimonianza che avrebbe definito lo stesso presidente come persona “avvicinabile”. E il fatto grave è che quella deposizione era stata comunque inviata dal procuratore capo Francesco Greco e dall’aggiunto Laura Pedio alla procura di Brescia. Che per fortuna aveva archiviato, continuando invece a procedere, fino al processo e alle richieste di condanna di questi giorni, nei confronti di De Pasquale e Spadaro per rifiuto di atti d’ufficio.

Questo è stato il clima del rito ambrosiano di questi anni. Una bella lezione ancora non del tutto studiata. Anche se il cerchio delle responsabilità sta cominciando a chiudersi.