domenica, Dicembre 22

Forza ministro Nordio, Palamara tifa per te!


Ecco la dimostrazione che riprendiamo e commentiamo le notizie che crediamo contengano del buon senso. Lo facciamo anche quando l’autore è (stato rappresentante) di un mondo che non ci piace. Sul tema della riforma e della separazione delle carriere non si sa più quanto se n’é parlato e scritto. DI certo sappiamo cosa si è fatto: nulla.

Le testate ci regalano un fiume di commenti sull’imminiente (?) riforma che potrebbe separare ciò che è stato tenuto insieme a qualsiasi costo.

Ecco cosa ci dice Luca Palamara su Il Giornale:

Il Giornale 29 05 – Separare giudici e pm
Da sempre contrario ma adesso dico di sì Falso che anche l’accusa lavori per la verità e per l’imputato Sì a una vera terzietà del giudice
Di Luca Palamara

Sembra oramai imminente la presentazione del testo sulla separazione delle carriere tra pubblici ministeri e giudici. Come noto, quella della separazione delle carriere è una storica battaglia delle camere penali dell’avvocatura oggi sostenuta dalla maggioranza di centro-destra nonostante la forte avversione della magistratura associata e di tanti illustri magistrati oramai in pensione. Le ragioni del «no» sono state efficacemente spiegate da Armando Spataro ieri sulle colonne del Foglio e possono sintetizzarsi come segue: – i due mestieri, e cioè quello dell’accusa da un lato e quello del giudicante dall’altro, hanno una caratteristica comune ovverosia l’obbligo di ricerca della verità storica dei fatti che accomuna il pubblico ministero alla cultura della giurisdizione. Per rafforzare questo concetto, l’impostazione in esame sottolinea come nel nostro ordinamento il pubblico ministero ha l’obbligo di raccogliere elementi di prova a favore dell’indagato ed in caso positivo chiedere l’archiviazione del procedimento senza appiattirsi sulle posizioni della polizia giudiziaria; – la possibilità per chi ha vinto un pubblico concorso di scegliere se fare il giudice o il pm e poi di transitare da una funzione all’altra è una forza del nostro sistema e l’osmosi delle funzioni, cioè il passaggio dalla funzione da giudice a quella di pubblico ministero e viceversa, è un dato oramai riconosciuto anche dalla comunità internazionale; – il nostro modello ordinamentale che rende autonomo l’inquirente dal potere politico ci è invidiato nel resto del mondo. Nella mia trascorsa veste di magistrato e di presidente dell’Anm ho, più volte, espresso la ferma contrarietà alla separazione delle carriere privilegiando l’idea della unicità delle carriere. Ma cambiare idea si può considerando che: – quanto alla cultura della giurisdizione, sono sempre più rari i casi in cui il pubblico ministero sia portato a cercare prove favorevoli all’imputato. A parte i casi marginali, quelli cioè che non riguardano le inchieste mediatiche, basterebbe ricordare che per la nota vicenda della maxitangente Eni-Nigeria, conclusasi con l’assoluzione degli imputati, si sta svolgendo a Brescia un processo penale nei confronti del Procuratore aggiunto di Milano accusato di aver occultato delle prove a favore degli imputati. Ovviamente gli esempi potrebbero continuare; – quanto alla osmosi tra le funzioni e del riconoscimento di una “passarella” anche in ambito europeo è un argomento vero ma non sufficiente. Invero, nel nostro ordinamento le carriere tra pubblico ministero e giudice sono già separate nei fatti perché, all’interno dell’ordine giudiziario, i passaggi da una funzione all’altra sono sempre più rari complice la progressione in carriera che impone una spiccata specializzazione delle funzioni stesse (come emerge dai dati statistici del Csm); – quanto al fatto che il nostro modello ordinamentale a carriera unica è un modello invidiatoci dagli altri Stati, non può non rilevarsi come la separazione delle carriere è tipica dei sistemi caratterizzati da un processo accusatorio come avviene non solo in Spagna, Germania, Svezia, Inghilterra, Stati Uniti, Canada, Australia, Giappone, India ma anche in Portogallo, tipico esempio di ordinamento caratterizzato da carriere separate e da un pubblico ministero titolare dell’esercizio dell’azione penale in maniera assolutamente indipendente dal potere politico. In conclusione, anziché lanciare il ballon d’essai del controllo politico sull’azione del pubblico ministero, ciò di cui il Paese ha bisogno è di realizzare compiutamente le condizioni necessarie a garantire la terzietà ed imparzialità di chi è chiamato a giudicare ridisegnando il ruolo dell’accusa e così riportarla su un piano di parità rispetto a quella della difesa. Sul punto basterebbe rileggere le pagine 201 e seguenti del Manuale di procedura penale di un insospettabile Franco Cordero, icona della sinistra editorialista di Repubblica, favorevole non solo alla separazione delle carriere ma financo alla dipendenza del pubblico ministero dal Ministro della giustizia. Tutto questo, sarebbe decisamente più coerente con il dettato costituzionale che proprio questi principi richiama nell’art.111 della nostra Costituzione.