domenica, Dicembre 22

La Verità fa male.

Convinto oltre ogni ragionevole dubbio. Tenace, roccioso, determinato a tratti luminoso, ma anche arrogante, presuntuoso, cieco oltre ogni elemento reale. In sintesi potremmo dire che grida al “gomplotto” il pm De Pasquale, ci piace parlare di lui e di come procede la sua corsa verso il baratro. Ci piace farlo perché questo personaggio non ha fatto altro che buchi nell’acqua nella sua carriera, e se lui puyò continuare a dire che combatte processi e che è certo della corruzione di cui ha imputato Eni ecc allora taluni potrebbero dirsi certi che fu lui a indurre al suicidio Gabriele Cagliari? Ben due processi hanno detto che non è successo, ma se ci si ostina a tenere sul tavolo notizie di reato giudicate infondate allo vale per tutti? E’ così la vita, dura, cattiva e vale per tutti.

Il pm De PAsquale attacca l’Eni e La Verità. Alessandro Da Rold

Deposizione del procuratore a Brescia, dov’è imputato per aver nascosto prove a favore dei vertici della società (poi assolti). Non ha gradito un nostro articolo sui fatti.
Intanto si profila l’ennesimo processo a uno degli indagati del vecchio filone nigeriano.
Fabio De Pasquale a giudizio a Brescia, per non aver depositato diverse prove in quel filone, è già a conoscenza di una perizia che l’ex manager Eni Vincenzo Armanna Qualche contraddizione, arroganza, un po’ di nervosismo nel vedere la propria carriera a rischio e l’ennesimo colpo di scena nella saga del giacimento Opl 245 di Eni
Nigeria: il pm depositerà oggi in un’altra tranche giudiziaria a Milano. Succede anche questo nel tribunale di Brescia, durante la deposizione fiume di uno dei due principali imputati nel processo che sta cercando di stabilire se il procedimento (dove Eni e Shell sono state assolte in maniera definitiva dalle accuse di corruzione internazionale) si sia svolto in modo corretto.
De Pasquale e Sergio Spadaro sono accusati di omissione d’atti d’ufficio.

C’è voglia di rivalsa da parte del responsabile dei reati internazionali della Procura di Milano, più volte elogiato dall’Ocse, ma finito alla sbarra dopo un’indagine che avrebbe
dovuto scovare una tangente da oltre 1 miliardo di euro (la «mazzetta del secolo») e che in realtà si è rivelato un vero e proprio flop. «Soffro più per il processo Opl245 che per il mio» dirà a un certo punto, facendo intendere che il caso non è ancora chiuso e
che l’accanimento contro il Cane a sei zampe potrebbe continuare ancora a lungo.
Non a caso, si è capito che De Pasquale dovrebbe chiedere il rinvio a giudizio («Non mi asterrò») di Aliyu Aboubakar (soggetto già transitato da Opl245) confermando di non voler depositare in quel processo le stesse prove incriminate. «Non le ho ritenute
rilevanti allora e confermo la mia decisione». Il pm infatti resta convinto che dentro Eni ci fosse la «corrente delle mazzette portata da Luigi Bisignani», anche lui già assolto.
I due magistrati sono accusati di non aver depositato messaggi Telegram e WhastApp, video e materiale d’indagine dal quale sarebbe emerso che proprio Armanna («Che ci aveva aperto grandi spazi di comprensione sulla struttura della Nigeria», dice De Pasquale) – ex manager Eni in Africa, imputato ma anche super testimone dell’accusa e poi ritrattatore nel processo – stesse tentando di corrompere altri testimoni nigeriani con 50.000 dollari per venire a Milano a confermare la sua versione. Una circostanza emersa proprio dall’inchiesta parallela della Gdf sul cosiddetto «falso complotto Eni», affidata ai pm Laura Pedio e Paolo Storari, con
quest’ultimo che solleciterà più volte i colleghi a depositare quegli elementi a favore della difesa e poi li accuserà di voler «salvare» ad ogni costo il processo Eni-Nigeria anche nascondendo le falsità di Armanna. Il responsabile del pool affari internazionali si è difeso, lanciando anche alcune frecciate al pm bresciano Francesco Milanesi tanto da essere richiamato dal presidente del collegio Roberto Spanò che lo ha invitato a non divagare e a essere più sintetico nelle risposte. Del resto, la tesi di fondo di uno dei magistrati più noti della Procura di Milano è che la stampa, come lo stesso Storari, avrebbero avuto un atteggiamento «ostile» nei su confronti . Non è un caso che proprio all’inizio, rispondendo a una domanda sulle spaccature interne alla Procura milanese, De Pasquale abbia deciso di tirare in ballo anche il nostro giornale, solo per aver scritto un articolo il 13 febbraio 2021, due giorni prima che l’ex capo della Procura Francesco Greco gli inviasse l’elaborato di Storari. In quell’articolo (dal titolo «Prove falsificate nel processo Eni Nigeria») ci limitavamo a sostenere che due prove fondamentali – che secondo De Pasquale avrebbero dimostrato la corruzione internazionale – fossero state in realtà smentite perché false da chi aveva firmato proprio quei documenti.
«Due giorni prima dell’invio dell’elaborato “le falsità”» ha ricordato ieri De Pasquale a Brescia -, «dopo che La Verità aveva pubblicato il 13 febbraio un articolo sulle prove falsificate con la mia foto, Pedio scrisse quella mail.
Io rispondo per iscritto “pessimo minestrone è un eufemismo, problema non è qualità del lavoro ma il fine e la
legittimità di una simile operazione che sicuramente rilascerà veleni per molto tempo”». Del resto a detta di De Pasquale, Storari lo odiava per la vicenda Cervino (il commercialista Giancarlo sul cui fermo nel 2018 non c’era stato il suo visto) e quella
«controinchiesta» sulla indagine sua e di Spadaro sarebbe stata «una ritorsione», «una ingiustificata interferenza in un processo in corso, che è un illecito e infine una “violazione del principio di lealtà tra i colleghi”». In ogni caso per De Pasquale era
«impossibile» depositare il materiale indicato da Storari perché «non era un atto» giudiziario ma una bozza informale fatta, una «accozzaglia» di elementi «irrilevanti, e che non erano favorevoli alla difesa». Ma è rispetto alle famose chat false del 2013 –
quelle con Claudio Descalzi, allora direttore generale e oggi amministratore delegato, e il capo del personale Claudio Granata, consegnate nel novembre 2020 da Armanna alla Procura di Milano per dimostrare che le accuse ai vertici Eni erano vere – che De
Pasquale spariglia le carte. A sorpresa, nonostante ci sia già una perizia di Vodafone che le certifica come false, il pm siciliano sostiene che «sarà depositata una consulenza» proprio da Armanna sulle stesse chat nell’udienza sulla richiesta di
archiviazione sul falso complotto che ci sarà oggi a Milano. Come fa a saperlo? «Un giornalista me l’ha inviata su WhatsApp» risponde. Quanto al video negli uffici di Ezio Bigotti («Non lo ritenevo rilevante») e alla richiesta di sentire Piero Amara in merito alle illazioni su Marco Tremolada, il presidente del collegio, De Pasquale risponde che ci sarebbe stata «una grave ragione di convenienza. Era per dare trasparenza a questo elemento. Per noi era un motivo di convenienza e se Amara avesse ripetuto
quelle frasi il presidente del collegio avrebbe dovuto astenersi». Spanò lo corregge. «Per “gravi motivi di convenienza” è prevista la “ricusazione” perché l’invito ad astenersi non esiste nel nostro ordinamento»